• I comunisti liberali

    di Slavoj Zizek 
    NEGLI ULTIMI DIECI ANNI, DAVOS E PORTO ALEGRE sono sembrate le città gemelle della globalizzazio­ne. Da una parte c'è Davos, l'elegante località sviz­zera dove l'elite mondiale di manager, statisti e personalità dei mezzi d'informazione si riunisce sotto la stret­ta protezione della polizia per convincere noi (e se stessi) che la globalizzazione è il miglior rimedio contro se stessa. Dall'al­tra c'è la subtropicale Porto Alegre dove si ritrova la contro-éli­te del movimento noglobal per convincere noi (e se stessa) che la globalizzazione capitalista non è il nostro destino.
    Ma ho l'impressione che negli ultimi anni le riunioni di Por­to Alegre abbiano perso un po' del loro smalto. Dove sono an­date le stelle di Porto Alegre? Alcune di loro si sono trasferite proprio a Davos! Il gruppo che domina gli incontri di Davos è quello degli imprenditori che ironicamente si definiscono "co­munisti liberali". E non accettano più l'opposizione tra "Davos" (capitalismo globale) e "Porto Alegre" (i nuovi movimenti so­ciali alternativi al capitalismo globale). La loro tesi è che pos­siamo avere la torta capitalista globale (arricchendoci come imprenditori di successo) e mangiarla (appoggiando le cause anticapitalistiche della responsabilità sociale e delle preoccu­pazioni ecologiche). Non c'è più nessun bisogno di Porto Ale­gre, perché la stessa Davos può diventare "Porto Davos".
     
    Chi sono questi comunisti liberali? Ovviamente è la solita banda di sospetti: Bill Gates e George Soros, i manager di Google, Ibm, Intel, eBay e i loro filosofi di corte come Thomas Friedman. Ciò che rende interessante questo gruppo è che la loro ideologia sta diventando quasi indistinguibile dai recenti elogi di Toni Negri al capitalismo digitale postmoderno, il qua­le, come dice Negri, è quasi indistinguibile dal comunismo. La vecchia destra, con la sua ridicola fede nell'autorità, nell'ordi­ne e nel patriottismo provinciale, e la vecchia sinistra, con la sua grande lotta contro il capitalismo, sono i veri conservatori di oggi, impegnati a combattere la loro battaglia da teatro del­le ombre priva di qualunque contatto con la nuova realtà. Il no­me di questa nuova realtà nella neolingua comunista liberale è smart. Smart significa dinamico e nomade contro burocra­tico centralizzato, dialogo e collaborazione contro autorità cen­trale, flessibilità contro routine, cultura e conoscenza contro vecchia produzione industriale, interazione spontanea contro gerarchia stabile.
    Bill Gates è il simbolo di quello che lui ha definito "il capi­talismo senza attrito", la società postindustriale in cui si assi­ste alla "fine del lavoro", in cui il software prevale sull'hardwa-re e il giovane secchione sul vecchio megadirigente in giacca e cravatta. Per Gates è fondamentale essere considerato un ex-hacker che ha sfondato, un teppista sovversivo marginale che ha avuto la meglio e si è rivestito da manager rispettabile.
    I comunisti liberali sono grandi dirigenti che recuperano
    10 spirito della competizione o, al contrario, pazzoidi della con­trocultura che hanno preso il controllo di immense multina­zionali. Il loro dogma è una versione nuova, postmoderna, del­la mano invisibile del mercato del vecchio Adam Smith: il mer­cato e la responsabilità sociale non sono antitetici, ma posso­no essere riuniti con reciproco vantaggio. Come ha detto Tho­mas Friedman, uno dei loro guru, oggi nessuno deve essere ignobile per fare affari; la collaborazione con i dipendenti e la loro partecipazione, il dialogo con i clienti, il rispetto per l'am­biente eia trasparenza delle transazioni sono la chiave del suc­cesso.
    Nel suo lucido ed esplicito rapporto, il vicedirettore del set­timanale francese Technikart, Olivier Malnuit, elenca i dieci comandamenti dei comunisti liberali. Devi dare tutto gratis e far pagare solo i servizi aggiuntivi, che ti renderanno ancora più ricco. Devi cambiare il mondo e non solo vendere cose. De­vi essere solidale, consapevole della tua responsabilità sociale. Devi essere creativo. Devi dire tutto, sostenendo e praticando i1 culto della trasparenza. Non devi mai accettare un impiego fisso. Devi tornare a scuola, impegnandoti nell'educazione per­manente. Devi operare come un enzima: non lavorare solo per il mercato, ma generare nuove forme di collaborazione socia­le. Devi morire povero, restituendo la tua ricchezza a chi ne ha bisogno, perché hai più di quanto potrai mai spendere. Devi promuovere la collaborazione delle imprese con lo stato.
    I comunisti liberali sono pragmatici e odiano l'approccio dottrinario. Oggi non esiste una classe operaia sfruttata, ci so­no solo problemi concreti da risolvere : la fame in Africa, la con­dizione delle donne musulmane, la violenza del fondamenta­lismo religioso. Quando c'è una crisi umanitaria in Africa, in- vece di dedicarci alla magniloquente retorica anti-imperiali-sta dovremmo semplicemente pensare tutti insieme a cosa fa­re per risolvere il problema.
    I comunisti liberali adorano il maggio del sessantotto: che esplosione di energia e creatività giovanile! Come mandò in frantumi i confini del rigido ordine burocratico! Che nuovo slancio seppe dare alla vita economica e sociale una volta ca­dute le illusioni politiche! Anche loro da giovani protestavano e combattevano i poliziotti. Adesso sono cambiati; ma non si sono rassegnati alla realtà, sono cambiati per trasformare ve­ramente il mondo, per rivoluzionare veramente la nostra vita. Lo aveva detto anche Marx: cosa sono tutti gli sconvolgimen­ti politici in confronto alla macchina a vapore? Oggi forse di­rebbe: cosa sono tutte le proteste contro il capitalismo globa­le in confronto a internet? Ma, soprattutto, i comunisti libera­li sono veri cittadini del mondo, brave persone che si preoccu­pano per i fondamentalisti populisti e per le multinazionali ca-pitaliste avide e irresponsabili. Vedono le "cause più profonde" dei problemi di oggi: è la povertà di massa e la disperazione ad alimentare il terrore. Perciò il loro obiettivo non è fare soldi ma cambiare il pianeta. Bill Gates è il più grande benefattore del­la storia dell'umanità, ha dimostrato il suo amore per gli altri donando centinaia di milioni all'istruzione, alla lotta contro la fame e la malaria.
     

    Ovviamente, per donare soldi alla comunità bisogna prima prenderli. La giustificazione dei comunisti liberali è che per aiutare veramente la gente bisogna avere i mezzi per farlo e, come l'esperienza ci insegna, l'iniziativa privata è di gran lun­ga la più efficiente. Si rende conto lo stato che, tassandoli ec­cessivamente, ostacola i loro obiettivi? I comunisti liberali non vogliono essere solo macchine per generare profitti, ma vo­gliono che la loro vita abbia un senso più profondo. Sono con-trari alla religione vecchio stile e favorevoli alla spiritualità e alla meditazione non confessionale. Il loro motto preferito è: responsabilità sociale e gratitudine. Sono i primi ad ammette­re che la società è stata incredibilmente generosa con loro per­mettendogli di mettere a frutto il proprio talento e di accumu­lare ricchezza, perciò hanno la sensazione che sia loro dovere restituire qualcosa alla società e aiutare la gente. Ma i comu­nisti liberali di oggi elargiscono con una mano quello che pri­ma hanno preso con l'altra.
    Negli Stati Uniti c'è un lassativo alla cioccolata che viene pubblicizzato così: "Siete stitici? Mangiate un bel po' di questa cioccolata!", cioè un tipo di cibo che provoca la stitichezza. Il lassativo alla cioccolata si può rintracciare in tutta l'ideologia di oggi. È quello che rende eticamente ripugnante un perso­naggio come Soros. Soros non rappresenta forse la più spieta-ta speculazione finanziaria combinata al suo contrario, la preoccupazione umanitaria per le catastrofiche conseguenze sociali di una sfrenata economia di mercato? La stessa routi­ne quotidiana di Soros è la rappresentazione di una menzogna: metà del suo lavoro è dedicata alle speculazioni finanziarie e l'altra metà ad attività umanitarie che in ultima analisi com­battono gli effetti delle sue stesse speculazioni. E le due facce di Bill Gates sono esattamente come le due facce di Soros: da una parte un uomo d'affari crudele che compra o distrugge i concorrenti puntando al monopolio virtuale e usando tutti i trucchi più sporchi per raggiungere i suoi obiettivi, dall'altra parte il più grande filantropo nella storia dell'umanità che ha detto: "A cosa serve avere i computer se la gente non ha abba- stanza da mangiare e muore di dissenteria?". Nell'etica dei co­munisti liberali, lo spieiato perseguimento del profitto è bi­lanciato dallabeneficenza: la beneficenza, oggi, è parte del gio­co come una maschera umanitaria che nasconde lo sfrutta­mento economico. I^i un ricatto del super-io di gigantesche proporzioni, i paesi avanzati "soccorrono" costantemente quel­li in via di sviluppo, evitando così di affrontare la loro compli­cità e corresponsabilità per la deplorevole situazione degli sta­ti sottosviluppati. E lo stesso vale per l'opposizione tra ap­proccio smart e non smart: il concetto chiave qui è quello del-l'esternalizzazione o outsourcing. Mediante l'esternalizzazio-ne si esporta il lato oscuro (forza lavoro gerarchica e discipli­nata, inquinamento...) nei luoghi non smart del terzo mondo (o in luoghi invisibili del primo mondo). Il sogno dei comuni­sti liberali è quello di esportare la stessa classe operaia nelle spaventose fabbriche del terzo mondo.
     
    Perciò non dovremmo farci illusioni: i comunisti liberali so-]L no il nemico di ogni vera lotta progressista. Tutti gli altri nemici (fondamentalisti religiosi e terroristi, burocrazie sta­tali corrotte e inefficienti) sono figure che dipendono da circo­stanze locali contingenti. Proprio perché vogliono risolvere tut­ti questi problemi della globalizzazione, i comunisti liberali so­no l'esplicita personificazione di cosa è sbagliato in questo si­stema. È un fatto che bisognerebbe avere sempre chiaro in mente nonostante tutti i compromessi e le alleanze tattiche che occorre stringere con loro quando sì combatte il razzismo, il sessismo e l'oscurantismo religioso.
    Cosa dovremmo fare allora con il nostro comunista libera­le che, senza dubbio, è un brav'uomo, sinceramente preoccu­pato per la povertà e la violenza nel mondo? Che fare con un uomo che non si lascia comprare dagli interessi aziendali (per­ché l'azienda è anche sua); che mantiene quello che dice sulla lotta alla povertà (perché facendolo si arricchisce), che dichia­ra onestamente la sua opinione (perché è così potente che può permettersi di farlo), che è saggio e coraggioso (nel portare spietatamente avanti le sue iniziative), che non tiene conto dei suoi vantaggi personali (perché tutti i suoi bisogni sono già soddisfatti) e che, inoltre, è un buon amico (dei suoi colleghi di Davos)?


    Bertolt Brecht ci da una risposta nella sua poesia Interro­
    gatorio dell'uomo buono: "Avanza: sentiamo dire / che sei un
    uomo buono. / Non sei venale, ma il fulmine / che si abbatte
    sulla casa non è / neanch'esso venale. / Quel che hai detto una
    volta, lo mantieni. / Che cosa hai detto? / Sei sincero, dici la tua
    opinione. / Quale opinione? / Sei coraggioso. / Contro chi? /
    Sei saggio. / A favore di chi? / Non badi al tuo vantaggio. / Al
    vantaggio di chi, allora? / Sei un buon amico. / Amico di gen­
    te buona? / Ascolta: sappiamo / che sei nostro nemico. Perciò
    ora ti vogliamo / mettere al muro. Ma in considerazione dei
    tuoi meriti / e buone qualità / il muro sarà buono, e ti fucilere­
    mo con / buone pallottole di buoni fucili e ti seppelliremo con
    /una buona pala in terra buona". 
     


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